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Da "Storie dal Mondo Alternativo"
LA VACANZA AL CAMPO MACROBIOTICO
by Stefananda '96/'97
È arduo, è faticoso, parlare di macrobiotica in un momento nel quale sembra sia caduta nel dimenticatoio, quasi passata di moda - anzi, fate finta di non leggere il “quasi”.
Oshawa, l’inventore della macrobiotica, è morto e sepolto. I grandi macrobiotici, quelli convinti, i più assatanati - dei veri e propri crociati della fede - si sono riconvertiti: qualcuno gestisce un Mac Donald, qualcuno conduce una tabaccheria, qualcuno altro vende oppiacei e c’è pure chi si vende il culo un tanto all’etto.
Oshawa è morto, perito e deperito, le sue diete spaventabambini sono passate di moda, la Tettasecca è passata di moda, io non lo sono mai stato: né macrobiotico, né di moda.
Forse, se di quel movimento qualcosa è rimasto, si tratterà di microbiotica.
Tra qualche secolo, forse, se ne ritornerà a parlare, in virtù della famosa teoria dei cicli e ricicli storici perché poi, si sa, in Occidente di ricicli ce ne intendiamo; ai ricicli siamo tutti abituati, ormai non ci spaventa più nulla.
La macrobiotica attualmente sembra scomparsa, molti oggi la rinnegano, si vergognano, fanno autocritica (erano già reduci di Lotta Continua), eppure qualcuno deve ridare un po’ di lustro e di gloria a quello che fu un pilastro dell’alternativo degli anni 70 e 80 e poi..... come scordarsi quell’indimenticabile estate di tanti anni fa, quand’ero ancora giovane, ingenuo, speranzoso e capelluto?
Come non concedersi un romantico, malinconico ricordo, l’abbandono per un revival?
Sebbene di estati simili ne trascorsi, in tutto, cinque, qui ne voglio - almeno per ora - ricordare almeno due, di annate: 1984 e 1986. Questa è la prima, la seconda si trova, l’avrete già capito leggendo il sommario, nel racconto “RITORNO AL CAMPO MACROBIOTICO”.
PRIMAVERA 84: lessi su una rivista specializzata dell’epoca, forse l’unica, l’inserzione dell’Associazione Macrobiotica “Tra Paradiso e Purgatorio”: “venite da noi: con pugno di chicchi di riso scotto e scondito nella mano destra e due alghe lesse nell’altra, faremo di voi dei veri uomini e donne alternativi, scoppianti di salute e di energia”.
La prospettiva era, come non ammetterlo, troppo allettante, perché non provare? Mi preoccupai solo del fatto che, magari, stringendo quel pugno di chicchi di riso mi sarebbe sfuggito di mano: il corso per prestigiatori non era stato previsto dal programma. Tipica organizzazione all’italiana.
Il campo “Tra paradiso e Purgatorio” era su un monte isolato, sull’Appennino Toscoromagnolo, località Sormaragno, scelto di proposito per evitare contaminazioni con la cosiddetta civiltà. C’erano cinque chilometri di strada sterrata da fare. Ero riuscito ad arrivare con dei bus fin quasi all’inizio di questa salita. Vabbè, avevo con me uno zaino pesantissimo, ero pronto per iniziare la scalata dal Purgatorio: non mi rimaneva che sperare che il Paradiso non fosse troppo lontano. Dopo tanto camminare sotto il sole d’Agosto di mezzogiorno, è naturale che uno poi arrivi e abbia la sensazione di trovarsi in pieno Paradiso. In seguito a un inferno di scalata a piedi.
Camminai e camminai, sudai e barcollai, manco avessi avuto con me una scorta di Vernaccia a cui allabbrarsi di tanto in tanto. Alla fine giunsi in cima e vidi l’accampamento, il macro accampamento. Data l’ora e la faticata, già pregustavo in bocca il riso scotto e le alghe lesse: ero già un convinto e perfetto macrobiotico, ansioso di iniziare la dieta. Ero arrivato, finalmente, ero al campo macrobiotico. Non tutti hanno una buona opinione dei macrobiotici (bhè, neanche di me, se è per questo). Ho un amico che dice spesso: “Non capisco perché molti vedano male i macrobiotici. Io amo i macrobiotici. Sono i miei migliori amici; dopo i cani, le lumache e i frutti di mare sono le bestie che preferisco. Peccato non siano commestibili. E poi sono troppo magri”. Questione di gusti, come potete ben comprendere. Io, le mie considerazioni filosofiche, mediche e culinarie le ho già espresse nel graffiante e psichedelico racconto “INCUBO ALLOPATICO” e non starò qui a riprenderlo: compratevi la raccolta nel quale è incluso, è troppo “spintarello” e ardito per essere pubblicabile su una rivista destinata al grande pubblico.
C’erano diverse attività ed animatori che avrebbero dovuto riempire le giornate montane dei partecipanti al campo. Il Tai Chi, che allora era quasi una novità, l’inossidabile Yoga, o Shiatsu, le Danze Popolari, tenute da un buffo omino spagnolo alto circa un metro e trenta, e varie altre cose.
Un’attività tenuta in grande considerazione, chissà perché, erano le camminate per gli intricati sentieri, per le salite e le discese dei monti locali. La guida, era anch’essa singolare, a modo suo: il tipo era alto quasi due metri, fedele al motto enunciato righe fa, “con un pugno di riso.... ecc. ecc.”, girava per i monti in testa alla fila, con una manciata di riso in una mano e una manciata di lenticchie nell’altra, attento a non perdersi mai nulla. Parlava poco e camminava molto. Anzi, non parlava: grugniva, di tanto in tanto. E spesso si ripeteva, bisbigliava, un koan, o un mantra, o qualcosa di simile: “io sono zen, tu sei zen, lei è zen, chi di noi farà zen zen?” Ogni tanto si fermava: la guida si smarriva spesso. Della serie “non seguitemi, mi sono perso anch’io”, confondeva spesso i sentieri, si perdeva continuamente e cominciai a pensare che l’avessero contrattato a Porta Portese o a qualche altro mercatino delle pulci a buon mercato. Per fortuna, c’era sempre qualcuno più orientato di lui, nel nostro gruppo, e con le mani libere da legumi e cereali, che ci traeva in salvo arrivando quasi in orario per i pasti. Ah sì, i pasti!
Lo staff dei cuochi era ancora più strambo. C’era una coppia giovane in cucina che si strofinava continuamente (forse faceva parte della filosofia macrobiotica, mi sembra un’ottima idea: cucina et strofina) e un altro cuoco anziano, purtroppo per noi macrobiotico rigoroso e ortodosso, di quelli che ti mandano avanti a pappe scondite, alghe e semolino, che - non potendosi strofinare - ce la faceva pagare cara a noi. Quando lui operava, era impossibile avvicinarsi alla cucina. Se qualche distrattone affamato lo faceva, sia pure per caso, lui s’imbufaliva, diceva una sfilza di improperi macrobiotici (leggasi parolacce et insulti) indirizzati al malcapitato. Poi seguiva il lancio delle pentole, sempre spedite a carico del visitatore. Per fortuna, la sua mira era pessima, quasi quanto il suo stile culinario.
Era una persona davvero temibile. Era ossessionato dal fatto che l’atmosfera del campo venisse contaminata da energie negative. Di sera, si aggirava tra i rifiuti della spazzatura prodotta dai campeggiatori, rovistando in cerca di prove. C’era una persona al campo che faceva una cura ricostituente e lui, il Torquemada macrobiotico, che riusciva perfino a scovare il contenitore di un integratore tra i rifiuti, leggendo sulla fialetta gli ingredienti, cominciò a gridare e a starnazzare: “Chi èèèèèèèèèèèè??? Chi è stato, ‘sto farabutto avvelenatore dell’energia positiva del campo?!? Qui c’è il glutammato, è un veleno, una pestilenza, ci contaminerà tutti”. Quando qualcuno gli fece notare che, semmai, si sarebbe avvelenato il consumatore della fiala, s’intestardì, s’infuriò ulteriormente, gridando: “No! A livello astrale, energetico, ci avvelena e ci contamina tutti”. Per fortuna che la Profezia di Celestino sarebbe uscita solamente dieci anni dopo: 60 su 70 individui gli sarebbero corsi dietro, fino a stanare quel povero cristo debilitato che faceva ricorso alle fiale e agli integratori per riabilitarsi. Forse sarebbe stato lapidato, come Santo Stefano, come di solito accade nei secoli dei secoli: coloro che vengono lapidati, prima o poi diventano lapidatori. Ma, una volta tanto, non avvenne così. Fatto sta, che quel cuoco rigido risultò essere così insopportabile e così poco congeniale alla vita in comune, che dopo in po’ di giorni, ritrovandosi forzatamente isolato (ma ciò dipese da lui), se ne andò si sua spontanea volontà, smadonnando e imprecando contro i campeggiatori peccatori e la cattiva energia del luogo.
Certo, tutti ci aspettavamo una dieta frugale e austera, ma lì la cosa veniva vissuta con troppa enfasi ed indottrinatura, dimenticando che il cibo è uno dei pochi piaceri che gli esseri umani riescono ancora a concedersi. Bene o male che sia, è così. Di fatto, alcuni “pionieri” scopersero che, per quanto apparentemente isolato il luogo fosse, c’era a circa trecento metri o poco più un bar, uno spaccio abbastanza organizzato, anche se sperduto. Infatti, non distante da noi, c’era un altro campeggio autogestito, ma certamente non macrobiotico, anzi, direi molto profano. Con la scusa di andare al bagno, che non c’era, ma era stata costruita una fossa biologica, che significa un cacatoio e un pisciatoio altamente pestilenziale, per cui quasi tutti lo evitavano, ogni tanto qualcuno spariva: poi ci si ritrovava tutti là, chi a giocare al calcio balilla, chi a farsi di pane e salame o di merendine. “Questi sono gli integratori alimentari della dieta macrobiotica”, si diceva. Perfino lo staff macrobiotico spesso veniva pescato ad integrarsi di prosciutto, salame e pane bianco allo spaccio. Quando ci si ritrovava lì, dopo i primi momenti di imbarazzo iniziale, ci si sentiva tutti fratelli accomunati, come facenti parte di una Grande Famiglia. Eccola, la ricetta buona per la Fratellanza Universale e l’Età dell’Acquario.
Quelli del campeggio dirimpetto, vedendo che eravamo un po’ strani, anche se affamati, non ci vedevano di buon occhio e una volta ci tagliarono i tubi che portavano l’acqua al nostro campo. Qualcuno li sentiva spesso imprecare al nostro indirizzo “andatevene via, maledetti erbivori”. Eh sì, l’intolleranza verso il diverso, lo sconosciuto, lo “strano” è una curiosa cosa: fa vedere gli erbivori perfino quando non ce ne sono. Se eravamo erbivori, lo eravamo di seconda mano.
Oltre a queste disavventure, bisognava stare attenti ad aggirarsi tra le tende del campo alla sera: qualcuno, che non gradiva la famosa fossa biologica, scacacciava qua e là tra le tende, e ogni tanto c’era chi, camminando scalzo (perché così faceva più naturale), ne coglieva in pieno una: quando questo accadeva, si sentiva puntualmente imprecare. E se si riconosceva la voce del coglimerda in questione, si capiva pure chi aveva rimediato il “movimento” per quella sera. Quanto agli scacacciatori, avevamo capito tutti chi erano, una stranissima famiglia molto vicina alle pecore, che faceva di tutto per ricreare al campo il loro habitat, il loro terreno (sic) abituale.
C’erano diverse persone negative e deprimenti, lì al campo. Sembrava si fossero date tutte appuntamento e ne rimasi sorpreso. Non potevo allora immaginare che ne avrei viste, un giorno, così tante in quelle sfortunate vesti e anche peggio. L’astrologo del campo prediceva sempre loro ogni sorta di miracoli e di fortune. Un giorno gli dissi: “Simone, ma perché racconti tutte ‘ste cazzate a que’ poveracci?” E lui, serafico: “E’ per il loro bene, per risollevarli un po’. Ho visto il loro tema natale, c’è da suicidarsi”.
E un anno dopo, uno di loro, si uccise gettandosi sotto la metropolitana in corsa d’arrivo, a Milano. Era una persona sensibilissima e dolce, ma anche una delle più tristi che avessi veduto nella mia pur breve vita. Dinanzi a lui, io che mica ci scherzavo su, ero il capo clown del Circo Barnum, a confronto.
Ce n’era un’altra, anche giovane, che aveva l’angoscia scolpita in faccia e si pensava portasse iella. Certuni affermavano che l’ondata interminabile di maltempo, così assidua e implacabile, come la tassa sui rifiuti urbani, l’avesse portata con sè proprio lei. Essa ammorbava letteralmente l’ambiente, tanto che anche il più diligente dei macrobiotici riusciva ad andare stitico: qualsiasi cosa lei dovesse fare, chiedeva all’astrologo, persino il momento migliore per andare in bagno e quando, finalmente, gli chiese se secondo lui era meglio che lei restasse o partisse, egli rispose: “figliola mia, non ci sono dubbi, Giove parla chiaro e Mercurio acconsente: è meglio che tu vada”. Il giorno dopo partì. Tutto il campo festeggiò. Venne acconsentito un po’ più di olio e di sale sul riso del pranzo. Ci fu preparato anche un dolce che non era dolce.
Questo era, più o meno, quello che succedeva là, tra i monti dell’Appennino. L’unica emozione un po’ più alta sopra le altre solite note, fu quando una notte, durante un diluvio quasi universale, diciamo pure “regionale”, (pare che lì piovesse sempre e per due settimane non fece di meglio ma a me, caro Sormaragno, non mi rivedi più) mi ruzzolò in tenda una ragazza spagnola “muy bonita”, contesissima da tutti i torelli del campo. Torelli un po’ ammanzati, devo dire. Era lì perché la sua tenda s’era allagata. Ma non gliel’avevo sabotata io, la tenda, capitò da me per sbaglio, è inutile che m’invidiate: non ce n’è ragione. Ricordo che girò diverse tende, prima che si fermasse. Altrove. Nella tenda della guida che meditava su chi toccasse fare zen zen. Bene, quella tenda di notte camminava, quasi rotolava giù a valle.
La ragazza spagnola? Lei, in Spagna, a Madrid o dove fosse, si dedicava ai bambini e al servizio sociale: pare legasse molto con le suore.
Ma è giusto così: in Spagna, dedicatevi alle opere sociali e religiose. In Italia, venite alla nostra corrida: qualche buon toro è rimasto anche da noi. D’inverno non sembra, ma d’estate escono fuori. Chiedetelo a lei, per avere conferma.
A causa del maltempo continuo, visto che molte delle attività non potevano svolgersi, la principale occupazione era il rimorchio. Pareva che in quel campo ci fosse sempre una mandria di tori pronti all’assalto alla prima occasione, che poi mancava quasi sempre. Ma i preparativi e le procedure erano troppo laboriosi, almeno per me. Dovevi star lì, parlare per ore, fingerti interessato a tutto tranne a una cosa, che poi era l’unica che davvero interessasse entrambi. Dovevi mostrarti un po’ fico, sostenere la concorrenza degli altri, raccontare una rete di palle: più palle raccontavi, più mostravi un interesse disinteressato, più quelle stavano là a considerarti quale possibile partner estivo. Macrobiotico.
Se questa era la tecnica giusta, io che chance avevo?
Non amando la competizione per la conquista della femmina e del territorio, io, animale snaturato che sono, preferivo starmene tranquillo a osservare. Fatevele voi le vostre conquiste, ragazzi, casomai rimanesse qualcosina per me, chiamatemi. Rispondo al telefono tutti i giorni. E’ sempre la stessa trama, sempre la stessa scena, sempre la stessa recita, per una conclusione che è tre volte su quattro negativa e l’altra pure, quando quella che sembrava la volta buona naufraga miseramente e finisce; e allora, si deve ricominciare a “cacciare” di nuovo. Capisco, a volte, perché chi si tira avanti una situazione da dieci anni e male la sopporta, continua comunque a protrarla: probabilmente è perché pensa che, alla fin fine, è difficile sperare di trovare di meglio e tanto vale tenersi quel poco che si ha. Perlomeno è poco, ma sicuro. Meglio un pulcino oggi, che un gallo domani. Veramente, se si riesce ad avere anche il gallo, col pulcino che rimane ci si lavano i pavimenti usandolo a mo’ di straccio. Eh no, così non funziona, voglio un dio meno creatore, meno fantasioso con gli esperimenti alla cieca e un po’ più tecnico nelle sue creazioni, che perlomeno funzionino bene, che non si guastino spesso, e senza un perché. Infatti, stando così le regole, io mi sono rotto di corteggiare, è troppo stressante e inconcludente; non posso che dire, con solenne rammarico: “signore, vi prego, vi scongiuro, leggete questo annuncio pubblico, non fatemi stancare né penare troppo: corteggiatemi voi!”
Non in quel caso..... Buona parte delle donne là al campo erano piuttosto racchie, sfiorite e abbastanza attempate; quelle più desiderabili, che erano poche, se le prendevamo i maschi più svegli e più arditi. Affermazione cinica, maschilista e classista? NO: solamente la verità, la pura, amara e sincera verità. Così va il mondo: macrobiotico o no, così procede.
Non rimaneva che darsi alla meditazione profonda sperando di trovare - finalmente - la pace dei sensi. L’acqua fredda della pioggia avrebbe poi fatto il resto. Mi sentii troppo stupido e ingenuo, che quello non fosse posto per angeli e per romantici l’avevo capito, ma viverlo sulla propria pelle era un’altra cosa, eh sì..... Mi ripromisi solennemente di recuperare tutto, un giorno, di rifarmi, quando le stelle sarebbero state propizie, non così ovvie e crudeli, ancor più degli uomini. Tutto e con gli interessi.
Ve la farò vedere io, oh!!!
Poi arrivò lei. Poteva essere la donna della vostra vita. Lei era Saieva, una gran bella donna, di 43 anni e forte di fascino e di carattere: ne aveva da vendere. Occupazione principale: stelle, pianeti, segni zodiacali e mappe energetiche dei piedi. Per vivere, sapeva e faceva di tutto: carte, oroscopi, massaggi, riflessoterapia, do in..... l’enciclopedia medica alternativa fatta donna. E poi..... che tipa!!! Gran donna. Gran classe. Sebbene avesse mooolti più anni di me, non potevo non rimirarla di qua e di là. E non ero l’unico. Chissà perché, c’era sempre una coda di presunti clienti, tutti pronti per una consulenza astrologica, cartologica o per un massaggino, ai piedi o altrove.
Purtroppo, lei non era sola. Aveva un figlio di quattro anni con sé. Era un gioiellino tutto riccioluto d’oro.
“Come si chiama il pargolo?”, le chiesi.
“Elio”, rispose lei.
“Elio? Cacchio - pensai - porta male!”
Il nostro fu un rapporto cortese, per i primi tempi, fatto di curiosità - molto frenata - l’uno per l’altra e nessuno dei due pareva scoprirsi di più. Io mi sentivo molto indeciso e in imbarazzo, vista la situazione, incluso quel divario di età, eppoi avevo una paura inibente di essere rifiutato, di risultare non gradito, inaccettato. Ammetto che ogni rifiuto o incontro mancato può essere molto umiliante, per un ometto come me, così poco macho e sicuro di sé con l’altro sesso.
Sicuramente, sarà capitato a chiunque, almeno una volta, se non dieci, di aver corteggiato una donna (o magari un maschietto, perché no....) e quindi, a un passo o due dalla sperata “conclusione”, è successo che vi sia sfumato tutto all’improvviso, per un micidiale piccolo dettaglio inatteso e incalcolato, magari un ruttino a tradimento improvviso. Dopodiché, vi sarete ritrovati con la faccia da ebete e lo sguardo fisso per terra o nel vuoto, a chiedervi: “Ma in cosa ho sbagliato? Dove ho mancato? Cos’è accaduto? Sembrava tutto OK.... che cos’è che non ha funzionato, a parte il tremore delle mani, della voce e il tic tac dell’occhiolino?” Già: che cos’è che non ha funzionato, oltre voi?!? L’avete mai capito?!? Io mai, e sono pure recidivo.
Sennonché, in quel caso l’intoppo fu chiaro ed evidente: essendo lei astrologa, un giorno doveva per forza accadere che mi chiedesse il segno astrologico e io cosa potevo risponderle? “.....Cancro!”
“Cooosa?!? Un cancro!!! Tu sei del Cancro?!?”
Mi puntò contro il dito indice della mani destra. Con l’altra mano formò un solenne cornone che puntò dritto in cielo. Alla faccia della superstizione. D’accordo, però lei veniva da Napoli, era già scusata.
Con lo sguardo spalancato, tra l’orrido e l’incazzato mi fissò per qualche interminabile secondo, poi cominciò la nenia che mi fece sentire, più che un cancro, un verme.
“Tu..... Tu..... Ooooooohhhhh..... Oddioddioddioddio.......”
Sperai che fosse un modo suo, tutto particolare, per dirmi che le ero simpatico e che le piacevo, ma non sembrava fosse così.
“Tu..... un cancro..... un cànchero..... ooohhhhhh..... ooooooooohhhhh..... Oddioddioddioddio......”
Non la finiva più. Dov’era Dio? Dove s’era cacciato? Avevamo bisogno di una mano, da parte Sua. Bhè, mi sarei accontentato anche solo di un dito, per l’occasione.
E lei: “Maledetto cancerino negativo disfattista.... vai via!!! Pussa via o te schiaccio, te sfriccico tutto!!! Allontanati da me! Vi odio tutti quanti, brutti cancheri zozzi...... vai viaaaaa!!!”
Io ero rimasto allibito, senza fiato né voce. Non capivo quel che stesse succedendo. Ero un ragazzo ingenuo e bonario, non riuscivo a realizzare dove fosse il mio guaio, o il mio peccato, pensai che forse lei oroscopasse troppo, o troppo poco.
“La prego, signora, si calmi sono un suo devoto ammiratore, non voglio farle del male, non faccia così, sono già abbastanza timido per conto mio, così mi complica le cose magnificamente. Signora, la prego, la.....”. macché. Ormai era invasata da Marte in conflitto con Venere. Era stregata da Marte, quel dio battagliero e penurione che ben conosciamo e che simboleggia un genere maschile che non esiste più. Forse non è mai esistito.
Che dovevo fare? Che potevo fare?
La solita sfiga dei cancerini, osservai: di dodici segni papabili, quella va a beccare proprio il mio, che esce così, impietosamente, dalla competizione. La prossima volta, giuro che nasco ariete.
Per i giorni successivi, venni accuratamente evitato. Eravamo in tanti, il campo era grande e c’erano altri undici segni zodiacali disponibili. Chissà, forse avrebbe trovato altrove un toro o un leone con criniera adatto alle sue esigenze, io ormai ero smarrito e sparito dentro, rimanevo solo un esile, inutile, stupido cancretto. Un cànchero, come diceva lei.
Per cercare di capire se una è già pazza o riesce a impazzire così in fretta a causa del maltempo a Sormaragno, cercai di indagare sulla situazione. Dopo un’inchiesta molto discreta, venni a sapere che lei, alcuni anni addietro, ricevette un cliente per una consulenza nel suo studio, ma il tizio in questione che era, guarda caso, un canchero pure lui, le saltò addosso senza troppi complimenti, violentandola e derubandola.
Da allora, aveva preso ad avere orrore, odio e ribrezzo per tutti coloro che fossero nati sotto il segno del Grande Canchero. Mai segno zodiacale fu più bistrattato, Mai rifiuto fu così imbarazzante, deciso e umiliante, alla faccia del bon ton e del “semo tutti fratelli nell’Età del’Acquario”. Dell’acquario, non del cancro, badate bene. Tra qualche millennio, però, avremo la nostra rivincita. Tornerà, prima o poi, l’Era del Cancro, e non solo quella del Cinghiale Bianco. Nonostante i violentatori ladri cancherosi.
Violentatore io? Non scherziamo su ‘sti argomenti. A me è successo sempre il contrario, ma chi s’è mai lamentato? E, pure in questo caso, di cosa potevo lamentarmi? Pensate un po’..... C’è chi viene respinto come un cane perché è brutto. C’è chi viene rifiutato perché non ha un bel lavoro o non ha un soldo. C’è chi viene ignorato perché veste male o perché è troppo basso. O magari perché risulta essere antipatico.
Io non ero bello, non ero ricco, vivacchiavo di lavori precari e saltuari. Non vestivo di certo bene, non ero alto e forse non ero neanche simpatico, ma ero stato scacciato perché nato sotto il segno del cancro.
Questo, ammettiamolo, non succede a chiunque sia capitato al mondo. Come sempre, anche in questo, mi rivelai essere una rarità.
Dopotutto, ero un uomo fortunato.
Libera selezione estratta dal volume
“STORIE DAL MONDO ALTERNATIVO”,
di Stefananda – Edizioni ISU